SHURA: un’armatura contro i mostri interiori

Dopo anni di silenzio, Shura torna con  I Got Too Sad for My Friends, un disco intimo e cinematografico, nato tra le passeggiate a New York, le influenze anni ’60 e una nuova consapevolezza queer. In questa intervista ci parla di blocchi creativi, armature simboliche, muscoli da “Muscle Mommy” e della voglia di resistere – anche con uno scatto ironico.

Shura è tornata. A cinque anni dal suo ultimo album, la cantautrice britannica — da sempre capace di raccontare la fragilità e l’intimità dell’amore queer con rara sensibilità — riappare con I Got Too Sad for My Friends, un disco che è insieme diario esistenziale e manifesto estetico.

Nato durante un momento di crisi creativa e personale, tra lockdown newyorkesi, introspezione forzata e nuove passioni (jujitsu incluso), il disco è un ritratto stratificato della Shura di oggi: più consapevole, ma ancora capace di lasciarsi attraversare dalla malinconia, con uno sguardo ironico e mai cinico.

In questa intervista, Shura ci racconta la genesi dell’album, il lungo blocco creativo, la gioia di collaborare con altri artisti, il bisogno di ritrovare uno spazio sicuro in un mondo che sembra diventare ogni giorno più ostile. Un dialogo che parte dalla musica, ma tocca anche corpo, comunità, politica e — naturalmente — amore.

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Ciao, come stai?

Bene grazie, domani ci sarà la prima data del tour. Sono emozionata.

Come ti senti a pubblicare un nuovo album dopo molto tempo?

Sono molto felice! Anche se l’album in realtà è pronto da tanto, abbiamo deciso di aspettare il momento giusto. Dopo quattro o sei anni, aspettare altri sei mesi non faceva molta differenza. Ma ora è arrivata l’ora!

Cominciamo dal titolo: “I Got Too Sad for My Friends”. Cosa lo ha ispirato?

È il nome che diedi alla cartella SoundCloud con i demo dell’album, quasi cinque anni fa. Invece di chiamarla “Demo” come al solito, la intitolai così perché rappresentava come mi sentivo: molto isolata, con poco da condividere. Quando fai un lavoro creativo e ti senti bloccata, è difficile parlarne con gli amici: ti sembra di fare il lavoro dei sogni, eppure qualcosa non va.

Il titolo è triste, ma la prima volta che l’ho scritto mi ha fatto sorridere.

Suonava perfetto per un album. Ha un tono ironico, anche se tocca temi difficili. Volevo evitare di risultare pesante.

“I Got Too Sad for My Friends” è un disco pieno di consapevolezza, ma che ha bisogno anche di leggerezza.

Hai parlato apertamente del blocco dello scrittore. Cosa ti ha aiutato a superarlo?

Leggere molto. Il libro “If You Want to Write” di Brenda Ueland mi è stato utile. Parla della scrittura come cammino, e di quanto camminare aiuti a liberare la creatività. Era come un’auto-istruzione.

In realtà non era che non riuscissi a scrivere, ma non trovavo interessante ciò che scrivevo. Ho capito che serve un mistero, una verità o un problema da risolvere per far funzionare un testo.

Camminare nel mio appartamento di New York, ascoltare gli uccelli, sentire la brezza: tutto questo mi ha aiutata a restare presente, nonostante pensieri esistenziali pesanti.

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‘I Got Too Sad For My Friends’ (Play It Again Same), artwork shot by Sophie Williams,  illustrated by Gilad Kaufman

La copertina ti mostra in armatura con un Walkman, circondata da piccoli mostri. Che storia volevi raccontare?

Hai colto bene! Quando uscì Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann mi folgorò. DiCaprio era magnetico. Ricordo che non capivo se volevo essere lui o se ne ero attratta. Anche mio fratello gemello, che è queer, lo guardava con me. Poi abbiamo capito: lui voleva baciarlo, io essere lui!

Avevo appena riletto Il piccolo principe, che mi ha devastata. C’è un’immagine in cui è minuscolo su una catena montuosa, ma pieno di significato. I temi del disco – ansia, solitudine, svanire – sono tutti lì.

Un’altra influenza è Baldur’s Gate 3, che mi ha salvato dall’isolamento. Nell’artwork indosso un’armatura, ma non protegge organi vitali: quei mostri non sono reali, sono interiori. Il Walkman, i jeans rotti e le Converse mi riportano alla realtà. Non volevo sembrare un personaggio fantasy, ma restare me stessa

Come ha influenzato il suono e i temi del disco il tuo trasferimento a New York durante la pandemia?

Era un momento eccitante: avevo appena finito un album sull’innamorarsi a NY, avevo un tour. Poi, tutto si è fermato. Un crollo istantaneo.

Questo ha inciso sul mio blocco creativo. Il mio cervello era pronto al tour e al cambiamento, e invece mi sono ritrovata a chiedermi: “E adesso?”. È stato un lungo periodo di vuoto, e ha cambiato tutto.

L’album ha un suono caldo e retrò, da pop anni ’60 con texture elettroniche soft. Come ci sei arrivata?

Non riuscivo ad ascoltare altro in quel periodo. Quelle armonie mi tranquillizzavano.

Senza rendermene conto stavo scrivendo il disco che avevo bisogno di ascoltare: dolce, gentile. Io che di solito sono esplosiva!

Con Nothing’s Real avevo suoni forti, synth invadenti. Ma durante la pandemia volevo solo delicatezza. Mi sentivo vulnerabile, e cercavo bellezza naturale.

Molte tracce hanno una forte qualità cinematografica. Pensi spesso per immagini?

Al 100%! Ogni canzone ha un video musicale nella mia mente. Sempre.

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Questo è anche il tuo primo album con dei featuring. Cosa ti ha spinto a farlo?

Ho collaborato anche in passato, ma i pezzi non sono mai finiti su un album. Stavolta, da artista indipendente, ho scelto persone che amo.

Cassandra Jenkins l’ho vista a Brooklyn e me ne sono innamorata. Ci abbiamo messo sei anni per collaborare! Helado Negro l’ho conosciuto a Low Radio, a Williamsburg. Perfetto per “If You Don’t Believe in Love”. Era il mio primo duetto sexy con un uomo!

E poi Becca Mancari: tutto sembrava naturale con loro, a differenza del passato dove le collaborazioni erano spesso suggerite per ragioni di marketing.

Ti sei fatta anche male in questi anni, ma ora appari radiosa!

Grazie! Forse è merito del jujitsu ahah! Ho iniziato da poco, ma è una di quelle cose assurde che fai dopo i trent’anni: imparare a combattere!

A proposito: aspiri davvero a diventare una “Muscle Mommy”?

Ci provo! Ma non è così facile come pensavo ahah! Forse sarò pronta per il prossimo album.

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La tua musica è importante per tante persone queer. Come vivi oggi la tua visibilità LGBTQ+?

Dieci anni fa avrei detto: sono queer e ne sono felice. Oggi non è così semplice.

All’epoca sembrava che tutto potesse solo migliorare. Oggi è deprimente. Pensa che “Touch” è uscito nel 2011, e ora dobbiamo chiederci se essere visibili sia sicuro.

Però: se ti senti attaccato, è il momento di combattere. Io sono pronta.

Pensare alla situazione dei diritti trans in America con un secondo mandato Trump è spaventoso.

Abbiamo girato un video low budget con tantissime persone queer, per mostrare quanto siamo splendenti. Spero di farvelo vedere presto.

Ora che sei tornata in Inghilterra, ti mancano gli Stati Uniti?

Mi mancano gli amici, e sono triste per loro. Ma tornare negli USA adesso? No. Forse lo farò quando il finale sarà diverso. Non che in UK sia tutto perfetto, ma almeno posso iniziare a lottare da qui. Prima ero ottimista. Ora, molto meno.

Prima di salutarci: l’ultimo album di cui ti sei innamorata?

Sto ascoltando tantissimo Sabrina Carpenter e amo Chappell Roan, ma il disco che mi ha rapita è Two Star & The Dream Police di Mk.gee. Mi ricorda Peter Gabriel, Prince, Sting ai tempi dei Police. Chitarre e produzione incredibili.

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